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CACCIA AL CINGHIALE SOVRANO DELLE SELVE
Nei dintorni di Molino del Pallone la macchia è fitta e selvaggia e ricorda tempi lontani quando l’Italia era un’immensa foresta di querce e biancospini popolata da prede e predatori di ogni tipo.
Mentre l’Orso o la Lince sono quasi del tutto scomparsi sotto i colpi di trappole e segugi ed il Lupo, decimato, si è ritirato in luoghi impervi e lontani, lui, sua maestà il Cinghiale, ha continuato a dominare selve e radure.
Il suo aspetto, fumante nelle gelide mattine di galaverna, ricorda l’alba del mondo ed il suo sguardo fiero e irriverente testimonia che ha attraversato indenne più di venti milioni di anni di lotte e di cacce epiche ed è pronto ad affrontarne altrettante.
Tutto nelle sue sembianze ricorda la forza selvaggia: gli occhi piccoli, scintillanti e ficcanti, il manto ispido che somiglia agli intricati rovi che solo lui riesce a penetrare senza conseguenze, il corpo possente e compatto del combattente, le zampe corte ma agili, forti e veloci nella corsa, le zanne bianche, brevi e micidiali come affilati pugnali abilmente manovrate dal basso verso l’alto dall’imponente testa sostenuta da un collo corto muscoloso e potente; le orecchie sono irsute e pronte a cogliere ogni fruscio, il naso, sempre fremente, fiuta con l’olfatto finissimo ogni più piccolo segnale di pericolo o il cibo che la vista mediocre non riesce ad individuare.
Il Cinghiale, col suo aspetto possente ed il suo sguardo sicuro, è stato per millenni il simbolo spirituale della forza della natura per diverse culture: dai Greci ai Romani, dai Celti agli abitanti delle Indie orientali, tutti ne hanno esaltato i confronti attraverso miti ed opere d’arte che rendevano grande il “nemico” ed ancora più grande chi lo abbatteva Ulisse, dopo vent’anni di assenza, viene riconosciuto per una cicatrice procuratagli da un cinghiale, Ercole conclude la quarta fatica catturando il cinghiale Erimanto; per gli antichi Germani rappresentava l’autorità spirituale, proprio perchè solitario come i Druidi ed i Sacerdoti che vivevano nella foresta; i Galli lo posero sulle loro insegne di guerra dipingendolo con occhi feroci; Visnhu ne prese l’aspetto per immergersi nelle acque e riportare la terra in superficie.
Ancora ai giorni nostri il Cinghiale rinnova la sua fama di eroe semiclandestino attraverso l’abilità della fuga, l’astuzia ed il coraggio nelle cariche ai cani e ai segugi poco saggi e prudenti che eccitati ed immemori del pericolo concludono in questo caso i loro assalti al Re del bosco sotto i colpi letali delle sue zanne, ed anche quando ferito a morte, il Cinghiale si accascia dopo una corsa che dura anche per 400mt a testimoniare la sua forza e resistenza, quasi che la morte non gli appartenga e l’abbia colto per sbaglio.
Alla fine dell’autunno questo sovrano delle selve richiama uomini e cani ad un duello che nella comune fatica, nel coraggio e nell’astuzia, seppure col colore del sangue, rinnova un confronto che più si avvicina, rispetto ad altri tipi di caccia, a quello più antico e dove non è sempre scontato chi vince.
SQUADRA CINGHIALAI ALTO RENO
La caccia nei dintorni di Molino del Pallone inizia all’alba quando squadre di cacciatori (minimo 20 con al seguito una muta massimo 2 cani per ogni conduttore o “canaio” fino a 26 nel caso della “braccata” o 6 uomini, nel caso della “girata”, coadiuvati da un conduttore con un cane) attrezzati contro il gelo e contrassegnati per sicurezza con giubbini con bande arancioni , conquistano con fatica le poste tra gli alberi percorrendo sentieri spesso lunghi e inagevoli che si issano aspri sui pendii dei monti.
Alla “posta” i cacciatori (postatoli) attendono in solitudine anche per ore, nel silenzio del bosco e resistendo, aiutati da qualche scaldamano, all’aria fredda e umida del mattino, l’apparire improvviso del cinghiale che fiutato dai cani e stanato da trafelati ”canai” (conduttori) che l’anno faticosamente diretto verso di loro dopo averlo inseguito tra rovi e cespugli superando ripidi canaloni. I “postatoli” sono armati di fucili o carabine a canna liscia o rigata carichi con proiettili robusti a palla unica poiché sono proibite le munizioni “spezzate”.
Solo se il cacciatore è abile nel tiro in corsa e sempre lesto e pronto (senza essere distratto magari dai morsi della fame da alleviare con un panino) può sperare di porre fine alla fuga del Cinghiale per la sua gloria e la soddisfazione dei compagni di caccia.
Spesso, data la natura del terreno, i Cinghiali feriti o abbattuti ruzzolano in scoscesi canaloni o fitti cespugli: ecco allora che i cacciatori, aiutati da cani particolarmente forniti di qualità naturali, agili, di piccolo dimensioni e grande voce nel primo caso o fisico più robusto, resistenza da fondista nel galoppo continuo, attitudine all’obbedienza, capacità di fiutare la più piccola emanazione con una “presa” di terreno come nel caso del Kurzhaar, i cacciatori, si diceva, devono di nuovo scovare l’animale prima che, come è ormai consuetudine nell’Appennino Tosco Emiliano, venga predato dai Lupi.
Una volta che il corpo del Cinghiale è stato ritrovato dai cani, i cacciatori armati di funi lo issano sui sentieri e dopo averlo etichettato con un’apposita fascetta numerata fornita dalla Provincia lo trascinano a forza fino al punto di ritrovo di fine battuta.
I capi abbattuti vengono quindi portati alla sede della squadra dove viene misurata la lunghezza, l’altezza al garrese e stabilito il peso di ciascun Cinghiale. Questi dati, unitamente alle fascette numerate che non devono mai superare il numero consentito, vengono inviati alla Provincia che attraverso queste informazioni tiene sotto controllo l’invadente popolazione dei Cinghiali attraverso un censimento continuo.
Dopo aver annotato le caratteristiche di ciascun Cinghiale, viene prelevato ad ognuno una parte di muscolo per essere inviato all’A.S.L. locale che svolge le dovute verifiche sanitarie. Solo dopo aver avuto il riscontro dell’esito positivo delle analisi i Cinghiali vengono macellati e suddivisi in patri uguali ai cacciatori che hanno preso alla battuta.
Trascorsi i mesi della caccia che coincidono al periodo riproduttivo che va da Novembre a Gennaio con fluttuazioni da Ottobre a Febbraio, i Cinghiali maschi adulti e dominanti (Solenghi) riprendono la loro vita solitaria e schiva nel fondo del bosco, allontanandosi dalle femmine, dai giovani e dai cuccioli che vivono in branco e nei confronti dei quali cominciano ad assumere atteggiamenti aggressivi.
Mentre le femmine si occupano delle cure parentali ed i giovani maschi portano a termine la loro maturazione, i maschi adulti devono accumulare riserve di grasso sufficienti per affrontare lo stress fisico e sociale della successiva stagione riproduttiva,
a tal fine, per il periodo che va dalla primavera all’autunno inoltrato, la loro maggior occupazione (crepuscolare) è quella di procurarsi il cibo sotto forma di piccoli frutti, di radici, di tuberi, di semi, di vermi, di molluschi, di insetti, di uova di uccelli terraioli ecc.. spesso letteralmente “arando” il suolo dei boschi per lo sconforto dei numerosi “fungaioli” che talvolta li vedono allontanarsi dalle “fungate” ormai distrutte sollevando polvere dal terreno ed indirizzando agli “intrusi”, tra uno sbuffo e l’altro, stridenti ed indispettiti grugniti di protesta.
Il Cinghiale ama vivere nei pressi di stagni o corsi d’acqua dove si rinfresca, si abbevera o fa bagni di fango per proteggersi dai fastidiosi insetti che possono infestarne il pelo come le “zecche”.
Ad autunno inoltrato, i “Solenghi”, carichi di energia, iniziano la ricerca delle femmine con cui accoppiarsi appartenendo ad una specie “Poliginica”. Se la ricerca ha successo i maschi si accoppiano con tutte le femmine del branco difendendole da altri contendenti senza però formare un vero e proprio “Harem” come nel caso del Cervo o essere territoriali come il Capriolo.
Se più maschi tendono alla conquista dello stesso gruppo di femmine inizia un vero combattimento che solo raramente porta delle ferite gravi e si risolve con comportamenti ritualizzati come la
polverosa “marcia parallela” con la criniera ed il pelo alzato per impressionare l’avversario o la “lotta spalla a spalla” che può sfociare in colpi inferti con i canini dal basso verso l’alto ed è per questo che in questo periodo la cute delle spalle dei maschi risulta più spessa.
Una volta conquistato il branco di femmine, il maschio resta nel gruppo fin che non si è accoppiato con tutte attraverso incessanti tentativi. Se una femmina non è in “estro” tollera comunque la presenza del “Solengo” mentre è insofferente nei confronti dei giovani maschi “Verri” che in questo periodo si allontanano dal gruppo di nascita alla ricerca di nuovi territori.
Dopo essersi accoppiato con tutte le femmine in “estro” il maschio adulto lascia il branco tornando solitario.
Nelle stagione riproduttiva i maschi di Cinghiale spendono tutte le loro energie alla ricerca delle femmine e nella lotta con gli altri maschi “dimenticando” quasi totalmente di alimentarsi .
La disponibilità di cibo durante il periodo autunnale risulta quindi fondamentale per l’andamento degli accoppiamenti.
Galleria Fotografica Cacciatori
Galleria Fotografica Cinghiali
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