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RE FAUSTO E LA SUA CORTE
A Molino del Pallone esiste un piccolo gruppo di case chiamato “Campaiaio” che si trova più in alto rispetto al Paese ed è ai margini del bosco.
In questo “quartierino” soleggiato e lontano dai rumori del traffico seppur relativo della strada principale, vivono poche famiglie che per la maggior parte dell’anno risiedono in altre località.
La pace del luogo è teatro di bande di Caprioli e di Daini nonché di Cinghiali che nelle opportune stagioni si cibano delle castagne, delle ciliegie selvatiche e dei frutti di meli e susini.
Gli abitanti di “Campaiaio” sono ornai abituati a rilevare quotidianamente le tracce o a sentire risuonare vicinissimi i richiami dei selvatici.
Tempo fa, era d’Agosto un’abitante della zona passeggiava a tarda sera in giardino prestando poca curiosità per gli scricchiolii che provenivano dal bosco quando all’improvviso il gatto che aveva in braccio cominciò fremere ed ad allungare collo e orecchie verso il terrazzamento in cui crescevano, insieme ai noccioli, un susino ed un grande vecchio melo.
D’un tratto il gatto, con un balzo si rifugiò in casa lasciando sorpresa la donna che si volse verso l’oscurità del giardino per capire cosa avesse tanto spaventato il gatto.
In un primo momento la signora non scorse che una grossa massa scura che si aggirava sotto il susino, poi, a distanza un’altra un pò meno robusta che si aggirava nervosamente avanti e indietro e solo dopo che gli occhi della signora si abituarono al buio videro due piccoli bagliori lucidi ficcanti in un grosso testone che la fissavano incuranti capì che si trattava di un maestoso Cinghiale.
Senza timore nei confronti della donna e del marito che con un amico era accorso al richiamo della moglie, il Cinghiale più grande continuava a nutrirsi delle susine e delle mele cadute al suolo mentre il compagno attendeva nervosamente il suo turno e dal bosco provenivano numerosi gli scricchiolii dei rami calpestati.
La visita dei Cinghiali continuò anche le sere successive ma la loro osservazione era resa difficile dal buio e dal fitto dei cespugli così che una sera, uno dei tre amici, prese l’iniziativa di utilizzare una pila senza curarsi delle proteste degli altri i quali temevano che i Cinghiali spaventati fuggissero.
Ciò non avvenne e con lo stupore degli osservatori i due animali continuavano a pascolare imperterriti. Il giorno successivo, confortati dalla baldanza dei cinghiali gli amici approntarono sul terrazzamento vicinissimo alla casa un’illuminazione di lampadine in sequenza e lo trasformarono in un vero e proprio palcoscenico per i Cinghiali Fausto e Serse così battezzati in onore di Fausto Coppi e di suo fratello Serse.
Verso le nove di sera i primi scricchiolii annunciarono l’arrivo dei due Cinghiali e fu una sorpresa notare che all’accensione delle lampadine iniziarono a consumare il granoturco ed i frutti che erano stati per l’occasione predisposti per loro. Incurante della presenza e delle voci dei suoi osservatori il grande Cinghiale Fausto rastrellò per una buona ora il terreno, scovando alcuni chicchi di granoturco fin sotto un grosso macigno che sollevò da terra con le potenti zanne; allorché fu sazio si allontanò con calma mandando un ultimo sguardo lucido ai tre amici e lasciando il posto a disposizione del Cinghiale Serse che più nervosamente e con maggior circospezione si nutrì per circa mezz’ora per poi riconquistare rapidamente il bosco.
La rappresentazione sembrava conclusa con grande soddisfazione dei tre amici, quando dal bosco giunsero confusi rumori e tra stridenti grugniti più simili a strilli comparvero frenetici e nervosi cuccioli di varia età che al possente e perentorio grugnito della madre(una grossa scrofa che mai scese a nutrirsi) si avventarono a mangiare gli avanzi di Fausto e Serse per risalire prontamente, dopo solo un quarto d’ora, ad un nuovo autorevole richiamo della madre che li aveva per tutto il tempo sorvegliati attenta e sbuffante dall’alto del terrapieno.
Questo rituale continuò per molte sere sempre simile nei tempi e identico nella sequenza finchè giunse all’orecchio degli altri abitanti del paese. In diversi ogni sera e a lungo andarono a Campaiaio per ammirare le affascinanti creature portando loro del cibo.
Mentre qualcuno azzardò con prudenza a porgerglielo con le mani nude avendo con Fausto un certo successo.
Certo che i cinghiali furono ottimi attori, ciascuno nella sua parte: il maestoso e calmo “Solengo” RE Fausto, lo scattante e baldanzoso “Verro” scudiero Serse, la nervosa e attenta scrofa così gli irrequieti cuccioli “Rossi”, tra cui spiccava quello più buffo e vivace fornito di un primo, lungo
e ritto pelo ispido che dalla fronte andava fino alla coda che si meritò il nome di “moicano”, e poi i due “porcastroni” un po’ più prepotenti e sicuri di sé.
Questa curiosa rappresentazione durò fino all’inizio dell’autunno quando le visite di Fausto e della sua corte si fecero via via più rade fino a finire del tutto con l’aumentare della frequenza degli abbai delle “canizze” che avevano ormai iniziaro la loro stagione di caccia.
Da allora e ancora adesso in diversi si ricordano di Fausto e del suo seguito e sperano che la fiducia che hanno accordato all’uomo non li abbia resi imprudenti.
Tuttavia considerata la grande capacità di sopravvivenza, la strategia riproduttiva vincente, l’aspettativa di 10/15 anni ed il favore generoso di un habitat ideale, consentono ai più ottimisti di avere non solo la speranza ma pure la non infondata certezza che RE Fausto e la sua progenie scorazzino fieri e indomiti nelle selve.
A tutt’oggi nei dintorni di Campaiaio si rincorrono numerosi richiami ed i grugniti di questi ispidi signori delle foreste che conoscono come nemico, escluso l’uomo, solo il Lupo e quando sono giovani; i castagneti appaiono incessantemente “arati” dalle instancabili zampe e dalle possenti zanne di “briganti” pelosi, che con abile prontezza si mimetizzano rapidamente tra il fitto del sottobosco sollevando nuvole di polvere in una rumorosa e indispettita ritirata e in chi ha la ventura di incontrarli ricordano un tempo antico in cui uomini e animali conquistavano giorno per giorno il loro diritto all’esistenza.
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